06 Giu Testo: Renzo Destini- Il Luogo Della Sofferenza
Frammenti del Destino
Attento attingo attonito dal tuo sguardo,
sofferenza suprema.
Osservo impotente senza opposizione,
attraverso atmosfera cupa di un ambiente arido.
Ciò malgrado, il soffio è presente,
ma debole nella fine del tempo.
Luce da quella finestra,
risveglia il cuore alla bellezza del mondo.
Un mondo che per tanto hai vissuto,
ma che ora è un orizzonte perduto.
Osservi da quel letto,
come se null’altro ci fosse di più bello.
Osservi dimenticando,
della vita il suo fardello.
Sul letto di morte si rivede la vita nella sua natura più autentica.
La si percepisce per ciò che realmente è.
Ecco allora che si immagina una vita vissuta attraverso questa percezione, attraverso questi occhi.
Emerge allora il rimorso per non averlo visto prima, ma attraverso quegli stessi occhi,
anche il fardello della vita diviene parte della sua bellezza.
Cronache del Destino
Come d’improvviso un vortice intercettò la mia coscienza.
Nel mentre che mi trovavo nel Luogo di Pietra ad osservare l’universo speculare sulla liscia superficie delle rocce,
individuai la meta da raggiungere. Qualcosa però si frappose nel viaggio:
come una volontà emersa dal subconscio e mantenuta in profondità. La volontà di esplorare un luogo terrificante;
una visita evidentemente necessaria. Mi ritrovai quindi al cospetto di una grande porta tagliafuoco al termine di una lunga rampa di scale.
“Il Luogo della Sofferenza” riportato a grandi caratteri sulla porta era un chiaro indizio di cosa avrei trovato varcando la soglia.
Andai oltre ed un potente fascio di luci artificiali violentò il mio sguardo.
Quando finalmente la vista si riabituò all’ambiente, mi accorsi di trovarmi sul percorso di un lungo corridoio,
bianco, sterile illuminato da invadenti luci. L’odore di disinfettante era quanto di più riconoscibile in quell’atmosfera arida,
luminosa, ma cupa. Mi accorsi di non essere solo quando all’incrocio tra due corridoi alcune persone vestite di bianco
incrociarono il mio sguardo con un sorriso. Un sorriso rassicurante, ma che in realtà racchiudeva infiniti e terrificanti verità.
Un sorriso artificiale, nulla di più adatto per questo luogo. Tutto appariva in ordine, nulla vi era fuori posto.
“La sofferenza è individuale e personale “ pensai, “si manifesta nel silenzio.
La sofferenza genera caos nel mondo interiore, non sempre verso l’esterno”.
Continuai a seguire il corridoio oltre la svolta del primo incrocio. Qui vi erano diverse porte che conducevano a diverse camere,
che si sviluppavano lungo il percorso. Alcune di queste erano aperte e vi si potevano intravedere, oltre la soglia,
letti sui quali giacevano persone morenti. Da alcune di queste camere si udivano strazianti lamenti, da altre, laceranti silenzi.
Entrai in una di queste e potei notarne lo spazio limitato e progettato secondo rigidi canoni di funzionalità.
Nella monotonia di questi ambienti, una sola finestra rappresentava il collegamento diretto con il mondo esterno.
Oltre a me, un altro visitatore varcò la soglia rivolgendosi con tenerezza ad una delle persone ospitate in questo spazio.
Poco dopo, suoni di carrelli animarono il corridoio e uno di questi fu accompagnato nella mia stessa stanza da due persone con abiti gialli.
Le udii parlare tra di loro indicando uno dei pazienti nel letto: “poverino è qui ormai da un mese e nessuno ancora è venuto a trovarlo.
Ci penso io a dargli da mangiare”. Osservavo lo sguardo di quell’uomo steso nel letto: uno sguardo vacuo e rassegnato, privo di una
qualsiasi forma di volontà. Rimanendo in questo stato, si lasciò passivamente imboccare senza soffermarsi sul sapore di quanto gli si stava proponendo.
La mia attenzione seguì poi il richiamo di un’altra delle persone ospiti di questo luogo, che mi chiese se
cortesemente potevo aiutarla a sedersi sul letto. La aiutai e nel mentre nuovi lamenti ruppero il silenzio della stanza:
deliri occupavano questi suoni riconoscendone, all’interno, la paura della morte. Ad un certo punto, la richiesta per dell’acqua,
che personalmente esaudì per quell’uomo ormai esanime. Uscii dalla stanza tornando lungo il corridoio; continuai a percorrerlo quando un urlo straziante di aiuto
mi fece piombare all’interno di un’altra delle numerose camere. Una donna anziana mi pregò di chiamare urgentemente i soccorsi e così feci.
Quando arrivarono la donna inveì contro di loro supplicando di poter tornare a casa. “Ma certo, se farai la brava potrai finalmente tornare a casa al più presto. Vedrai, ancora una settimana e sarai libera.” fu la risposta di una delle inservienti. Mi immaginai le numerose ripetizioni di quello stesso evento,
in un loop infinito. In quel luogo, il tempo non scorreva e con esso nemmeno la sofferenza si alleviava. Imperterriti continuarono ad arrivarmi richieste di aiuto,
di attenzioni, di soccorso. Non avevo più spazio nella mente se non occupato dalla sofferenza.
Mi sentivo avvolto da questo malessere onnipresente in quel luogo.
“Vattene! Hai visto abbastanza. Non puoi rimanere qui troppo a lungo, non puoi farti carico della loro sofferenza.
Devi andare via al più presto, altrimenti impazzirai”. Come già accaduto Renzo Destini non si manifestava più fisicamente ma con “voci” o meglio “consigli”.
Non sapevo più come uscire da quel luogo: il corridoi pareva infinito e la porta scomparsa. I lamenti sempre più numerosi…
“Se non puoi uscire da un luogo, fai uscire quel luogo da te!”
Non avevo ormai più possibilità di poter fuggire da quel labirinto di stanze e corridoi, ma dimenticavo di essere coscienza vagante senza confini.
Chiusi gli occhi e prima tentati di accogliere i lamenti, poi lasciarli passare, allontanarsi senza ostacolarli.
Questi progressivamente cominciarono ad affievolirsi e divenire sempre più distanti.
Cercai allora un appiglio, un elemento che potesse ricondurmi nel sicuro Luogo di Pietra.
Quando finalmente vi arrivai la sua natura era mutata: non aveva più una forma, una sembianza fisica.
Era divenuto il Luogo Non Luogo dell’Indistinto.
Continua…..
Renzo Destini
( Pubblicato da email ricevuta il 01.05.24)
immagine: intervento su “self portrait di Arnold Bocklin