31 Ott La fine del nostro Statuto d’artista
Quasi un anno fa, a Ravenna, fissavamo il “percorso di ricerca ” con un gesto/video e forse nutrivamo semplicemente il nostro narcisismo.
Questo è ciò che ci venne in mente di fare:
Prendemmo una porzione di terriccio compost derivato dagli sfalci e dall’umido maturati l’anno prima e una porzione di cenere dalla performance della primavera precedente ( a Sarajevo, assieme all’artista e performer Nardina Zubanovic avevamo incendiato una tela durante l’esposizione per poi raccogliere le ceneri in un barattolo).
Dentro questo miscuglio, piantammo i bulbi di due Narcisi ( uno non sarebbe germogliato). Poi con acqua lo battezzammo.
Non trovando parole per collegare addensamenti così impalpabili, grumi creativi successi tanto lontani tra loro eppure rappresi sulla stessa ferita; decidemmo di compiere un gesto, un rito, un esperimento.
Inizialmente insicuri, non sapevamo se qualcosa sarebbe mai cresciuto, forse il nostro era stato solo un insano gesto, figlio della noia e della pazzia. Forse saremmo rimasti delusi, soli e aridi come terra incolta.
Invece, con gentilezza, la Natura accolse e nutrì la nostra idea e tutto ciò era commovente. La Natura Madre ci assecondava, si lasciava fecondare, per il capriccio di qualche artista che non trovava nulla di meglio da fare che scomodarla. Non solo ci assecondava, ma contribuì alla creazione.
Seguimmo la crescita della pianta che semplice pianta non era, la sua evoluzione rappresentava per noi infatti: il fiorire della visione, la fuga dalla parola, radicare il silenzio, l’incarnarsi del narcisismo, l’assoluzione dei peccati digitali.
Era l’amplesso psicomagico del nostro piccolo percorso, che comunque aveva dignità e meritava una celebrazione.
La gravità del tempo era la legge che portava alla deriva la nostra visione, sempre più turgida, sempre più bella.
Poi cominciammo a guardarla come fosse una sorgente infinita, a utilizzarla per altri esperimenti, a farle foto e video, a venerarla; era un oracolo al quale chiedavamo consiglio, come se la gravità del tempo non potesse più intaccare i sui suoi tessuti, come se la sua saggezza la rendesse cristallizzata ed immortale.
Eppure, forse, per volontà del cielo, tutto termina.
Ci accorgemmo presto che non era nemmeno un contributo quello che la Natura aveva dato; ciò che stava succedendo era buono e giusto. Noi eravamo un semplice canale, un semplice addensamento che doveva apprendere l’umiltà, doveva vedere la propria nullità. La Natura si riprendeva con garbo il nostro statuto, che poi nostro non era e ci lasciava in ricordo un involucro vuoto.
Bacco Artolini 31.10.19